giovedì 25 febbraio 2016

Ci segnalano e segnaliamo: "Gli apostoli del ciabattino."

In attesa di pubblicare un altro bellissimo racconto di Giuseppe Novellino intitolato "Mille chilometri" vi segnaliamo il libro, edito da Edizioni Paginauno, di Massimo Viaggi.




Un intenso racconto umano
Uno sguardo su una realtà contadina che non c’è più
e un mondo di guerre che ancora conosciamo

Giuseppe ha solo otto anni quando il padre Dante capisce che da lui non potrà aspettarsi niente di buono: è svagato, testardo, e non apre mai bocca. Eppure sa parlare, e soprattutto sa ascoltare. La sua educazione alla vita sono le storie che la madre racconta, di contadini furbi e santi irosi, animali da cortile e uomini selvatici. Faticosamente diventa adulto, e anche se in famiglia nessuno si occupa di politica, se Giuseppe non vive che nelle sue fantasie, se Dante non pensa ad altro che al grano e alla canapa, nessuno può preservarsi dal contagio che intorno si diffonde come peste: sono gli anni Venti, e nelle campagne del bolognese esplode lo squadrismo delle camicie nere. E Giuseppe è chiamato a partire soldato per portare la ‘civiltà’ agli abissini.

Massimo Vaggi è nato a Domodossola nel 1957 e vive a Bologna, dove lavora come avvocato. È consulente della Fiom e della Cgil. Ha pubblicato: Un silenzio perfetto (Pendragon, 1996), Tu, musica divina (Interlinea, 1999), Delle onde e dell’aria (Mobydick, 2002), Al mare lontano (Pendragon, 2005), Sarajevo novantadue (Paginauno, 2012). Suoi racconti compaiono nelle collettanee Sorci verdi (Alegre, 2011) e Lavoro vivo (Alegre, 2012). È uno dei fondatori e redattore di Nuova Rivista Letteraria.

 
Edizioni paginauno
186 pagine | 15,00 euro 
ISBN 9788890926389




venerdì 12 febbraio 2016

Novembre recanatese di Giuseppe Novellino

Ha un sapore antico questo stupendo raccontino che Giuseppe Novellino ci propone qui di seguito. Con rara capacità, l'autore ha saputo immedesimarsi in un'atmosfera d'altri tempi ricreando una rappresentazione efficacie  di un momento domestico tipica dei quadri ottocenteschi, ma anche molto vicina a quello che potrebbe essere il nostro immaginario. Tale rappresentazione risiede tutta nello stile linguistico utilizzato. Ma c'è di più. Novellino ha parodiato magistralmente gli atteggiamenti genitoriali che ancora oggi si riscontrano nelle famiglie di ogni classe sociale. I genitori, il più delle volte, non comprendono il valore dei figli, anche quando quel valore è palesemente manifesto.  





Saliva dal cortile un odore di caldarroste. L’aria era immota, gradevolmente tiepida, e il sole già si eclissava dietro le colline.
    Il Conte Monaldo chiuse la finestra. Ormai l’atmosfera del salottino si era rinnovata e adesso potevano bere in santa pace la loro cioccolata. La moglie Adelaide, già seduta al tavolino, armeggiava con il servizio di porcellana.
     - Marito mio, siete servito. Non indugiate, altrimenti si raffredda.
     Bofonchiando, lui si sedette, stringendosi nella giacca da camera.
     - Codesta recente abitudine della cioccolata alle cinque – disse il conte - comincia a disturbarmi l’appetito per la cena. Ma tant’è. Il piacere deve avere pure i suoi costi.
     - Bevete, bevete. Il potere di questa bevanda è comprovato: stempera le malinconie, tonifica il fegato e corrobora il cuore. Ma con moderazione, certo. Dopotutto la nostra pratica non è quotidiana. Di sabato e di lunedì non la beviamo; e neppure il venerdì, essendo il giorno della passione di Nostro Signore Gesù Cristo. In tale misura la cioccolata è portatrice di sano e moderato piacere, lecito in ogni caso e gradito allo spirito.
     - Adelaide, voi vedete tutto attraverso la lente della virtù.
     - L’unica visuale che ci è consentita.
     - D’accordo – fece Monaldo, afferrando la tazza fumante. – Che dire allora degli abitanti della lontana Albione? Essi prendono puntualmente il tè alle cinque di ogni sacrosanto giorno dell’anno. Capisco che il piacere che arreca quella bevanda non è equivalente a questo della cioccolata. Eppure essi l’accompagnano sovente con biscottini burrosi, pastarelle, tortine e quant’altro. Tutto cibo che appesantisce il corpo e ottenebra la mente.
     Adelaide fece una risatina. – Certo il pericolo cui vanno incontro gli inglesi risulta evidente. Ma non sono forse essi scomunicati dalla nostra Santa Madre Chiesa Romana?
      - Non tutti, mia cara, non tutti.
      - Coloro che rispondono al Papa faranno certamente le debite penitenze, per la gloria del Signore.
      Sorseggiarono la loro cioccolata in silenzio.
      Fu dopo un bel momento che Adelaide estrasse un foglio di carta dalla manica dell’abito. - Mi sembra il momento adatto per sentire un vostro parere su questo componimento.
     - Di che si tratta? – fece Monaldo con noncuranza, posando la tazza sul tavolino.
     - D’una strana poesiola del nostro Giacomo.
     - Ve la diede egli stesso? – domandò il conte, con un certo stupore. – Mi sembra egli geloso delle sue composizioni. Di recente tralascia gli studi e la seria erudizione per scrivere cosucce che son forse una perdita di tempo. – Scosse il capo. – Mia cara, non sarete voi complice della sua vanità?
     - Dio me ne guardi! – esclamò lei, irrigidendosi. – Non vedo pur io di buon occhio il perdersi di Giacomo dietro l’idea d’anteporre l’invenzione propria e peregrina allo studio de’ classici.
     - Quindi…
     - Quindi non fu egli a parlarmene. Fui io a ritrovarla, in un angolo del suo scrittoio. La copiai su un altro foglio ed eccola qui, pronta per essere riletta.
     - Sentiamo.
     - Premetto, signor marito, che essa è un poco strana. Oh, non nella forma, ch’io tra l’altro non son atta a giudicare. Ma il suo contenuto, ricopiandola, ha suscitato i me un certo straniamento.
     Lesse:

     Qual diletto da queste carte,
ond’io al fioco lume
per lenir l’intime mie piaghe vo traendo,
se poi inquieto s’abbandona l’animo mio
 vagheggiando un ben più giovevole fruire
di questo nobile sapere?
Sogno fu, quello, oppur visione?
Dire non so, or che il petto trema
ancora al suo ricordo.
     Vidi non più fogli e ponderosi tomi,
non più cartacei documenti
ma lo scibil tutto antivedetti:
li pensieri antichi e quelli nuovi che il mondo
ogn’or va visitando, offrirsi al desioso intelletto
con novella forza inusitata.
E l’onirico nume, che visitar volle la mia anima sopita,
mostrommi qual meraviglia fusse
lo pigiare un tasto e riveder con luminoso arredo
offrirsi agli occhi miei tristi e affaticati
ogni nozione
ogni opera dell’italiche lettere e straniere
con prodigiosa improntitudine e gaiezza.
(3 novembre 1817 – notte)

     Le parole risuonarono per un lungo momento nel silenzio della stanza fiocamente illuminata.
     - Versi davvero singolari… direi astrusi – fece Monaldo, lasciandosi sfuggire un sospiro.
     - Come possono esserlo tutti quelli che parlano di sogni.
     - Già, egli stesso lo dice. Com’era scritto?
     - “Fu sogno, quello, oppur visione”? – rilesse Adelaide.
     Il conte si passò una mano sul mento e guardò la moglie con sguardo pensieroso. – Il nostro Giacomo forse è affaticato da tanto studio. Ma proprio per questo dovrebbe dedicare il tempo libero a qualche passeggiata per le vie di Recanati o pei campi, che ora si tingon di gai colori, ancor non spogli e stretti nella morsa del gelo. Dedicarsi invece a codesti passatempi letterari affatica il cervello, che dovrebbe avere, invece, utile ristoro.
     - Tanto più – lo incalzò la moglie – che simili fantasie sono alquanto dispersive per l’animo, tanto più per quello del nostro figliolo, così sensibile. Se invece di scrivere stupidaggini, orientasse la mente e il cuore alla preghiera, andasse più assiduamente alle sacre funzioni, ricaverebbe maggior giovamento per la salute sua del corpo, dell’anima e della mente.
     Ci fu un breve silenzio. Attraverso i vetri baluginava il chiarore residuo del cielo occidentale. Poi il conte Monaldo disse:
     - Gli parlerò, ma senza alludere a codesta strana e, lasciatemelo dire, insulsa composizione.
     - Certo – approvò Adelaide, - tanto più che il sospetto che io abbia rovistato fra le sue carte renderebbe me colpevole di insana curiosità ai suoi occhi. Il che, per una madre premurosa, mi sembra ingiusto. – Quindi si alzò e andò a tirare il cordoncino per chiamare la domestica.
     La quale prontamente arrivò.
     - Questa sera – ordinò la signora – mangeremmo volentieri, come dessert, due caldarroste con un bicchierino di vin santo. Veniva dal cortile un buon profumino, poc’anzi. Non è vero, caro marito?
     - Certo, Adelaide, certo… - mormorò Monaldo soprappensiero.
     


lunedì 1 febbraio 2016

Recensione "Il demone del moto"

Per tutti gli amanti della narrativa horror e fantastica, Giuseppe Novellino ci suggerisce il libro di Stefan Grabinski "Il demone del moto"


Stefan Grabinski
IL DEMONE DEL MOTO (Racconti fanta-ferroviari) 


Recensione: Giuseppe Novellino


Szygon è un tipo strano. Periodicamente si lascia prendere da una forma di sonnambulismo che lo porta a prendere il treno e a viaggiare verso una qualsiasi località lontana da casa. Ora si ritrova sul “fulmineo Continental” che corre sulla linea Parigi Madrid. E qui, prendendo spunto dalla velocità del mezzo, attacca bottone con il controllore sulla natura del moto e sulla madre di tutti i movimenti. Ma la storia, ovviamente, non finisce qui.
     Si tratta di una delle dieci narrazioni fanta-ferroviarie (noir, fantasy, horror e fantascienza) che corrono rigorosamente sui binari di mezza Europa: quella dell’Est in particolare. In un caso le rotaie si snodano su un percorso davvero impressionante: vi si racconta, infatti, di un treno superveloce (l’autore scrive negli anni ’30, ma avrebbe già bene in testa l’alta velocità) che parte da Barcellona, costeggia tutto il bacino del Mediterraneo, e ritorna, dopo soli tre giorni, al punto di partenza. Su una di queste corse, alcuni passeggeri vanno incontro a una avventura allucinante. Il treno, già arrivato sulla costa ligure, rallenta, entra in una gola e poi si ferma in una strana stazione dal nome sconosciuto: Buon Ritiro. Ma sono io a ritirarmi, a questo punto, per non svelare il finale.
     Procedendo nella lettura, si passa da un mistero all’altro. Si viene a conoscenza degli strani poteri emanati da un binario morto. Le carrozze che vi hanno sostato sono a dir poco stregate, tanto che i passeggeri scendono alla spicciolata durante il viaggio, anche se non sono ancora arrivati alla loro destinazione. Rimangono solo i due protagonisti. Ma per vedere come va a finire, dobbiamo continuare l’itinerario con loro.
     Poi c’è la vicenda del treno fantasma (se qualcuno pensa che non sia originale, ricordi che GrabinsKi, l’autore, la scrisse negli anni Venti; quindi sarebbe opportuno fargli tanto di cappello).  Appare sulla linea quando e dove meno ci si aspetta di trovarlo, crea una grande confusione fino a mettere a dura prova tutta la pianificazione ferroviaria moderna. Alla fine si scontrerà con un altro treno. Ma bisogna leggere per credere, per rendersi conto che un regista cinematografico sarebbe impazzito a rendere visibile una simile catastrofe. Che sarà poi stata tale?
     Ci sono altre storie: un casellante strambo fa la guardia a un tunnel nei Carpazi, senza mai vedere la luce del giorno; due amanti consumano la loro avventura trovandosi periodicamente sullo stesso treno; due ferrovieri s’incontrano in uno sperduto e misterioso capolinea fra le montagne; una sciagura viene misteriosamente preannunciata; un tizio ritrova l’amante e scopre che era morta un po’ di tempo prima, in un incidente ferroviario.

     Insomma ce n’è abbastanza per soddisfare il lettore che ama il fantastico. Solo che costui deve essere disposto a viaggiare, ad ascoltare il monotono canto delle rotaie, sottoporsi allo sguardo sospettoso dei controllori, veder fuggire il paesaggio attraverso i finestrini. Il sottotitolo parla chiaro e mette in guardia: si tratta di fantaferroviaria.
     L’autore polacco Stefan Grabinski (1889-1936) viene qui giustamente riscoperto in una gustosa raccolta che lui stesso aveva concepito in questo modo. Poco conosciuto, e a dire il vero anche un po’ sottovalutato ai suoi tempi, era un vero artista, uno scrittore dedito al fantastico e all’horror, tormentato dall’idea fissa di come possano convivere realtà e alterità, visto che quest’ultima è tanto impalpabile quanto incombente. Cultore di filosofia e di psicologia, ma anche delle scienze occulte, Grabinski ci ha regalato questo conturbante mosaico ferroviario, che diventa una metafora di quel mistero nel quale siamo immersi.