sabato 27 dicembre 2014

"L'umano sistema fognario", il nuovo romanzo di Cosimo Argentina. Intervista all'autore.

di Ivan Bavuso


Cosimo Argentina è di nuovo nelle librerie. Lo scrittore tarantino torna sugli scaffali con “L’umano sistema fognario”. È il suo dodicesimo romanzo, un libro che segna il raggiungimento di un percorso e col quale l’autore ha intenzione di chiudere un ciclo. Si tratta di un libro graffiante che ti colpisce con una scarica di jab al volto prima di stenderti con un gancio proibito nelle parti basse. Ma è anche un romanzo pieno di divertente sarcasmo.
Pubblicato da “Manni”, già editore di “Maschio adulto solitario”, il romanzo narra la storia allucinata di Emiliano Maresca: giovane nazifascista ideologicamente poco convinto e grande appassionato di musica evi metal. Maresca è cresciuto con la madre che in punto di morte rivelerà al figlio l’identità di un padre che non sa di averlo generato. Il protagonista è anche perdutamente innamorato di Anansa, la figlia del suo datore di lavoro. Anansa è una ragazza che ama il cioccolato con tendenze alla pinguedine, ma che Emiliano vede come una donna angelo. A girare intorno al protagonista ci sono anche Benito e Marcello bello, altri due irrecuperabili. In questo contesto Maresca metterà in atto la sua vendetta nei confronti del padre “scannatore”, ma farà anche altro: per esempio congelerà il corpo della madre nel frigo dei gelati.
Con questo romanzo, se Argentina fosse americano, sarebbe un altro Lansdale, solo un tantino più feroce.



 Cosimo Argentina
INTERVISTA
L'Umano sistema fognario è un romanzo che chiude un percorso?
«È iniziato con Maschio adulto solitario, è passato per Vicolo dell’acciaio e Per sempre carnivori e si conclude con L’umano sistema fognario. Sarebbe dovuta essere una trilogia, ma Vicolo ha sconfinato trovando spazio nello stesso ambito. In realtà questi ragionamenti si fanno sempre a posteriori perché è raro che uno scrittore si dica quasi quasi faccio una trilogia. Semplicemente succede».
Come ti è venuto in mente di raccontare un personaggio come Emiliano Maresca?
«Emiliano Maresca è un uomo di 28 anni, un borderline che ha dentro un mondo. Ogni uomo abile arruolato o disabile che sia ha dentro un mondo. Quel mondo è una meraviglia che va raccontata. Purtroppo nella letteratura italiana un personaggio come Emiliano occuperebbe lo spazio di 20 righe. Una macchietta, insomma. Io ho cercato di dargli assoluta dignità, nel bene e nel male»
Maresca  è un disadattato, ma per tua stessa ammissione è onesto intellettualmente. Cosa intendi dire?
«Siamo tutti un po’ disadattati. Non sempre ci adattiamo al mondo che ci circonda anche se ce lo facciamo piacere. Riluttanti o entusiasti cerchiamo di collocarci da qualche parte per far parte dell’umano consesso anche se nel profondo del nostro animo vorremmo dare fuoco al pianeta. Essere onesti intellettualmente vuol dire bandire l’ipocrisia. E io in 51 anni di vita ne ho conosciuti pochi in grado di farlo a 360 gradi».
C'è ancora Taranto sullo sfondo. Il tuo romanzo è stato definito un romanzo urbanistico. È così?
«No. È più una circumnavigazione della mente umana e delle sue distorsioni, delle distopie che ci allagano il cranio. Siamo tutti dannati e manco lo sappiamo. Ridicoli fino all’eccesso facciamo dell’ottimismo un modo per mantenere le posizioni acquisite. L’ottimismo se lo posso permettere i ricchi, non i morti di fame».
Maresca è un personaggio non solo tarantino, ma italiano. Un personaggio che puoi incontrare in qualsiasi provincia…
«Il modello l’ho preso da un uomo di Cesano Maderno (nel cuore della Brianza monzese nda) conosciuto in un bar. Era il cavalier servente di una ragazza che lo trattava come uno zerbino. Quella sera, conoscendolo, mi dissi prima o poi ci scrivo una storia. Però ho spostato la narrazione a Taranto. E anche Anansa, la protagonista femminile, è sul modello di una alunna del serale di Seregno (Argentina è insegnante di diritto nella scuole superiori nda) a cui una volta promisi che avrei scritto di un personaggio usando il suo nome».
Nel prossimo libro cambierai registro? Potresti tornare a raccontare altri luoghi?
«Sì. Credo che dalla mannaia potrei passare al fioretto. Di dodici libri quelli ambientati in Brianza sono “Bar Blu Seves”, “Brianza vigila”, “Bolivia spera” e metà del “Cadetto”. Sì, tornerò a parlare del luogo che conosco meglio dopo Taranto. Non amo gli scrittori che scrivono di Londra dopo esserci stati due mesi. Bisogna essere nelle cose. Io ho vissuto negli ultimi anni in vari comuni della zona: Cesano Maderno, Desio, Limbiate, Biassono, Meda, Bovisio Masciago, Seveso, Seregno, Carate, Besana, Monza, Paderno Dugnano, Varedo. Tredici appartamenti in tredici posti diversi per una somma di 25 anni. Qualcosa avrò pur imparato, no?»

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