venerdì 24 gennaio 2014

La luna rapita (un racconto per bambini)



Gino il falegname amava così tanto la sua bambina che non sapeva come dimostrarle il suo affetto smisurato, e per questo non riusciva ad essere felice.
All’alba di ogni mattina, prima di scendere in bottega, passava nella camera della figlia Michela e la guardava dormire serena. Le accarezzava i capelli dolcemente e restava lì, seduto sul bordo del letto, a fissare la sua piccola per un paio di minuti buoni. Alla fine si decideva a lasciare la cameretta per portarsi in cucina e consumare una frugale colazione.


 Da quando era nata Michela il suo amore per la figlia era cresciuto a dismisura. Era diventato grande quanto un brachiosauro e non sembrava volersi fermare. Tuttavia, a dispetto della logica e della normale reazione di qualsiasi altro papà, il sentimento che Gino provava non lo rendeva affatto più allegro, ma lo turbava profondamente.
In molti si chiedevano la ragione di quel suo stato d’animo. A partire dalla moglie, la mamma di Michela, che in più occasioni aveva provato a scandagliare i pensieri del marito. Passati però sei anni la donna ci aveva rinunciato quasi del tutto.
Gino era un bravo “legnamé”, come si soleva chiamare i falegnami in quella terra un tempo piena di prati e ora diventata piena di case e strade e automobili e fabbriche chiuse. Una terra che in una manciata d’anni s’era del tutto trasformata e dove i bambini non potevano giocare più da nessuna parte perché più nessuno aveva voglia di tollerare i loro schiamazzi. Forse era anche per questo che Gino era triste, sognava un posto migliore dove far crescere Michela.

Ciò che sembrava immutato nel tempo erano certe notti d’estate, quando la luna era piena e le stelle le brillavano intorno come tante sentinelle. Durante quelle serate, prima di dormire, i bimbi di tutte le città, aprivano le finestre e guardavano, sospirando, quel candido pallone  che se ne stava lì appeso al buio. Sognavano un campo di calcio che poteva essere usato liberamente e che non esisteva da nessuna parte. E immaginavano, grazie alla luna, gol memorabili che non avrebbero mai segnato. Anche le bambine guardavano la luna, e volavano con la fantasia. Si vedevano proiettate in alto nel cielo a rincorrere le costellazioni o a chiacchierare amabilmente con quell’astro lucente e rotondo che somigliava ad una faccia.

 I grandi non sapevano dei sogni dei bambini e i bambini si erano abituati a non raccontarglieli più. Solo Michela, una sera che il suo papà aveva finito presto di lavorare, gli aveva fatto una confidenza.
«Papà mi piace così tanto la luna che se potessi la terrei per sempre nel mio cassetto».
Ma la luna non si poteva portare via dal cielo così come niente fosse. Ci voleva quanto meno un piano. Gino inizio a rimuginarci sopra giorno e notte. La luna sarebbe stato il regalo più bello che avrebbe fatto a Michela. In questo modo sarebbe riuscito a dimostrargli tutto il suo amore. Alla fine il falegname prese una decisione: avrebbe costruito una scala di legno così lunga con la quale sarebbe salito fino alla luna per portarsela via.

Impiegò molto tempo per costruire una scala a pioli lunghissima che, all’occorrenza, poteva accorciarsi per essere trasportata meglio. Dopodiché Gino scelse il palazzo più alto della sua città, un grattacielo che non finiva mai e che era stato costruito proprio in mezzo all’ultimo giardino pubblico del quartiere in appena tre giorni. Era un palazzo tutto fatto di vetri dove dentro non era stato messo neppure un appartamento, solo uffici e negozi, per lo più vuoti.
Il falegname appoggiò la scala su una parete del grattacielo, la allungò tutta con una manovella, la fissò stabilmente al terreno, e cominciò ad arrampicarvisi sopra.
Gino era un uomo umile, ma non sprovveduto, aveva fatto qualche calcolo e aveva previsto che per arrivare alla luna ci avrebbe messo un po’. Non si preoccupò neppure che qualcuno, al mattino dopo, potesse spostare la scala. Sapeva che nessuno si faceva più domande, tutti erano diventati ormai indifferenti. Con questa convinzione continuò a salire piolo dopo piolo riposandosi solo qualche ora fin quando, la notte dopo la sua partenza, arrivò in cima. La luna lo stava aspettando ad un tiro di schioppo. Gino, con funambolico equilibrio si mise in punta di piedi sull’ultimo scalino, si stirò più che poté e alla fine riuscì a prendere un  lembo del lenzuolo che copriva l’astro. Lo tirò a sé e la luna inizio a rimpicciolire. Divenne sempre più piccola fino a che non fu più grande di un melone. Gino si infilò il melone in una borsa che s’era portato dietro quasi sapesse che la luna si sarebbe rinsecchita.
La discesa fu più veloce. Il falegname ci mise solo un giorno per tornare sulla terra. Ritirò la scala e si diresse verso casa. Vi arrivò che il sole stava tramontando. Era tutto rosso di vergogna perché sapeva che dopo di lui nessuno avrebbe schiarito la notte. Le prime stelline tristi iniziarono ad accendersi, poi arrivò il buio ed era freddo.
Gino entrò nella camera di Michela e la trovò seduta sul letto che guardava fuori dalla finestra. Gli si sedette vicino e tirò fuori dalla borsa un sasso duro e rugoso. Lo porse alla figlia.
«Che cos’è papà?»
«È la luna, sono salito in cielo e l’ho presa per regalartela. Per farti capire quanto ti voglio bene».
Michela prese il sasso fra le mani e grossi lacrimoni le riempirono gli occhi fino ad annegarli.
Il falegname, esausto per l’impresa compiuta, pensò che le lacrime della figlia fossero di gioia. Non si preoccupò di chiedere alla bambina il motivo del suo pianto. Si congedò da lei e se ne andò a dormire.
Il mattino dopo il mondo era cambiato completamente. Nelle strade c’era un fermento peggio che nelle bottiglie di gassosa. Era un brulicare di persone, un vociare concitato dai megafoni. Nelle piazze e nelle strade della città i bambini avevano organizzato un gigantesco corteo. Gli adulti erano molto preoccupati, cercavano con tutti i mezzi di convincere i propri figli a tornare a casa. Ma non c’era nulla da fare i bambini erano determinati. Sugli striscioni erano comparse scritte inequivocabili:

RESTITUITECI LA LUNA

LA LUNA E’ STATA RAPITA

CHI RUBA LA LUNA RUBA I NOSTRI SOGNI

RIVOGLIAMO LA LUNA

O LA LUNA O LA VITA

(aveva esagerato qualcuno)

 Gino corse in camera di Michela. E Michela era lì, abbacchiata. Non era scesa in piazza con gli altri bambini, perché sapeva che il ladro della luna era il suo papà e non voleva che qualcuno potesse prendersela con lui. In quel momento il falegname comprese che l’aveva combinata piuttosto grossa, che non aveva capito proprio nulla.
"Ma allora tu la luna non la vuoi?"
«No, papà. Voglio solo che tu mi voglia bene. Voglio passare un po’ di tempo con te per giocare insieme. Per andare a comprare un gelato o leggere un libro. E poi la luna è di tutti e senza di lei tutto è ancora più triste».
Detto ciò Michela porse al papà il sasso a forma di melone e lo abbracciò. Le calde lacrime del falegname sciolsero quel groppo grande come il brachiosauro che da troppo tempo teneva prigionieri i sentimenti dell’uomo. Quando si fu ripreso, mise la luna nel fondo della borsa e uscì di casa.

Gino riprese la scala che aveva nascosto in bottega e si diresse di nuovo al palazzo di vetro. Fuori i bambini si erano organizzati in sitting e per la prima volta sembrava che riuscissero a dialogare con i propri genitori. Il problema principale era quello della luna che era stata rapita, ma lo spazio ad altre discussioni non veniva negato.
«Non ci fate mai giocare da nessuna parte» gridavano i bambini.
«Ma vi fate male» ribadivano i genitori.
«Ci regalate sempre un sacco di giocattoli, ma non giocate mai con noi» recriminavano i bimbi:
«Siamo impegnati a lavorare» sostenevano i genitori.
«Non ci chiedete mai cosa pensiamo» si lamentavano i ragazzi.
«Siete piccoli, non avete ancora esperienze» si difendevano le mamme e i papà.
«Passi lavare i denti la sera, ma i piedi me li tengo sporchi» sostenne il solito facinoroso che nel marasma delle discussioni tentava di portare l’acqua al suo mulino. Nessuno però gli diede retta.
Nel frattempo il falegname era tornato a salire verso il cielo. Arrivò in cima all’ultimo piolo, prese dalla borsa la luna rinsecchita e se la mise sul palmo della mano. Il sasso riprese colore e torno a illuminarsi. Poi si librò come un palloncino verso l’oscurità e mentre saliva nel cielo diventava sempre più grande. Le stelle sbrilluccicarono dalla contentezza e Gino, per la prima volta, sentì il cuore gonfiarsi di felicità.
Tornato per l’ennesima volta sulla terra, il falegname notò che le piazze e le strade si erano svuotate di bimbi manifestanti. Si respirava un nuovo clima. Dalle finestre della case scorse famiglie intere intente a cenare. Le televisioni erano spente e le risate echeggiavano dappertutto.
Quando giunse sulla porta di casa Michela gli corse incontro, anche la mamma li raggiunse poco dopo, i tre si abbracciarono e Gino propose di andare a mangiare un bel gelato panna e cioccolato.
Michela era felice, lei preferiva la fragola al cioccolato, ma per una volta avrebbe fatto un’eccezione.

Nessun commento:

Posta un commento