Il
vecchio passava, contava, e quando finalmente trovava la sua vittima, che di
solito era sempre la persona più incazzata del gruppo, le si parava davanti e
con fare teatrale gridava:
«Tu
mi ucciderai!...un giorno tu mi ucciderai!» dopodiché Hollywood alzava i tacchi
e se la squagliava verso piazza Santa Maria Maddalena.
Quella
curiosa farsa era ormai entrata nella routine del paese e quasi nessuno ci
faceva più caso. Chi si beccava la strampalata invettiva si limitava a scuotere
la testa senza scomporsi e soprattutto senza smarrire la concentrazione che gli
avrebbe fatto perdere il turno. Se il malcapitato era un forestiero le reazioni
potevano essere diverse. Le donne d’una certa età si stringevano al petto la
borsetta e cominciavano a tremare come neppure le foglie d’autunno. Altri
avventori, ben più sanguigni e con le palle già ridotte a turbine, lo mandavano
semplicemente a quel paese e chiusa lì.
Chiusa
lì fino a che non riuscivano a mettere piede nell’ufficio e scoprivano che la coda
era ancora lunga, e soprattutto quando s’accorgevano che al posto di uno dei
due impiegati, proprio davanti al vetro dello sportello, capeggiava la foto del
nuovo Papa con la mano benedicente alzata per aria e la scritta “torno subito”.
In quel caso erano altre madonne che volavano.
Di
buffo c’era che Hollywood, al secolo Alfio Tomasetti, si presentava alla posta agghindato
in costumi che avrebbero meritato gli onori del carnevale di Venezia.
Gli
si mossero tutti intorno all’improvviso, lo vestirono da guardia giurata e gli
coprirono la faccia di trucco mentre un giovane vice regista gli strillava sul
muso la battuta che avrebbe dovuto scandire:
«Dunque
ascoltami bene. Entri, recita la tua parte forte e chiaro, e subito dopo scappi
via come se avessi il pepe al culo. Ora va».
E
Alfio Tomasetti uscì sul palcoscenico e vi rimase meno d’un minuto. Recitò di
tre quarti. Sul fondale un ufficio postale di cartongesso. Il pubblico neppure
lo vide.
In
paese, per quella sua attività e l’ossessione che l’aveva nutrito in gioventù e
che, bisogna dirlo, contribuì non poco a fargli smarrire qualche ingranaggio
nella testa, fu soprannominato Hollywood.
Il
24 maggio anniversario preciso della sua prima e unica apparizione teatrale,
Hollywood indossò gli stessi abiti che lo avevano portato alla ribalta. Si calò
in testa il berretto con lo stemma e si legò in vita il cinturone nero e il
manganello. Imboccò via Oberdan che erano da poco passate le otto e trenta. Sul
marciapiede della posta s’era già formata una piccola folla. Tra gli astanti
c’era anche un giovane allampanato dalla zazzera scompigliata che si guardava
intorno con un certo nervosismo. Hollywood lo notò subito e lo puntò.
«Tu
mi ucciderai!...un giorno tu mi ucciderai!».
Ma
ahimè! il vecchio guardarobiere, quel giorno, non ebbe il tempo neppure di fare
due passi che si trovò spianata sotto gli occhi la canna lucida d’una
rivoltella. Il giovane fece fuoco.
Bang.
Bang.!!!
Due
lampi azzurri sporcarono il nitore della bella giornata e un puzzo di polvere
pirica s’infilò su per i nasi dei clienti della posta.
Hollywood
cadde riverso a terra…
«Ah!
Muoio…muoio…tu m’hai ucciso…odo le trombe angeliche sonar la mia ora…e vedo la
luce del sole spegnersi negli occhi…muoio…muoio…muoio!» il vecchio reclinò la
testa e chiuse gli occhi.
Mentre
il Tomasetti moriva, un trambusto generale invase l’intera strada
«Hanno
ammazzato Hollywood!…hanno ammazzato Hollywood!»
L’ingresso
davanti all’ufficio postale fu subito libero come alla domenica mattina. Tacchi
di donna e suole di cuoio improvvisarono un tip-tap stralunato. Il giovane
rapinatore, ancora più sorpreso del povero matto, si diede alla fuga gettando
lontano da sé la pistola. Ma inciampò, cadde, una macchina dall’altra parte
della strada sgommò via. Il ragazzo tentò di rialzarsi, ma il dolore alla
caviglia era feroce. La gente uscì dai bar, dai negozi, dagli uffici e gli fu
addosso.
«Dai
Hollywood levass soeu. Te see(t) stà bravu anca sta voeulta, pecaa che la
ri(v)ultela lera’na scacciaratt».
«Me
sa che dumàn me vestisi de muschetieer del re»
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